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19 Dicembre 2023– Autore: Emanuele Felice –
Nella situazione di grande incertezza che stiamo vivendo, il governo dovrebbe, innanzitutto, consolidare i fondamentali del paese, peraltro fragili; in modo da prepararci al meglio per qualsiasi eventualità. Dovrebbe cioè investire nell’istruzione, nell’amministrazione, nelle infrastrutture, nella cura del territorio, nella sanità; mettere in campo politiche per aiutare le imprese a crescere e a fare ricerca, così da innalzare la produttività e il suo potenziale; combattere l’evasione fiscale, recuperando risorse, e riportare il nostro sistema tributario a una logica minima di equità contributiva; puntare sulla conversione ecologica, perché è il futuro delle politiche industriali e può anche diventare un’opportunità per l’Italia; smantellare le rendite improduttive, che ancora da noi tenacemente resistono, e al contempo dare dignità e forza al lavoro, perché è giusto e anche perché può essere uno stimolo a innovare.
Ma in ognuno di questi campi il governo Meloni o non interviene affatto, oppure ha scelto una strada opposta a quella auspicabile.
La bassa produttività, ad esempio, deriva innanzitutto dalla tipologia e dalla specializzazione delle nostre imprese: piccole, spesso piccolissime, non hanno le risorse per innovare e cercano quindi di competere riducendo i salari o pagando meno tasse. Invece di contrastare questa situazione, il governo Meloni la asseconda. Da un lato blocca il salario minimo, che oltre a essere una misura di equità serve a dare più valore al lavoro e quindi può spingere le imprese a investire nell’innovazione (come è avvenuto in Germania), ed elimina il reddito di cittadinanza, che pur con diversi difetti non obbligava le persone ad accettare salari da fame. Dall’altro lato dedica ingenti risorse, la maggior parte della sua manovra, a farsi carico con soldi pubblici di quel che dovrebbero fare queste imprese: un ristoro per chi ha redditi medio e bassi, temporaneo e talmente modesto che serve semplicemente (e a malapena) a evitare che si riducano i salari nominali: per poter fare questo, oltretutto, disinveste nei servizi sociali, a partire dalla sanità, depaupera la pubblica amministrazione (su cui invece bisognerebbe investire e che anzi andrebbe rilanciata, anche per favorire le imprese), e fa crescere l’indebitamento (esponendoci alle turbolenze internazionali e all’aumento dei tassi).
E non solo. Il Governo ignora completamente la grande questione fiscale dell’Italia. Per consolidare il bilancio favorendo la crescita, senza tagliare il welfare e i servizi, occorre tassare le rendite e i grandi patrimoni, così fra l’altro da rendere più conveniente investire in attività imprenditoriali. E poi bisogna abolire la flat tax per le partite Iva, che toglie miliardi al nostro erario, crea iniquità, favorisce l’evasione (pari a quasi 90 miliardi l’anno) e incoraggia la piccola dimensione. Ebbene, l’anno scorso il Governo ha addirittura ampliato la flat tax, innalzando la soglia da 65 a 85mila euro; e sul contrasto all’evasione Meloni ha dato più di una volta, con le sue dichiarazioni, segnali opposti a quelli di cui c’è bisogno.
Questo mentre il Governo continua a favorire le sue corporazioni di riferimento (tassisti, balneari), ignorando le direttive europee e impendendo la modernizzazione di alcuni servizi. Non ultimo, ha espunto dall’agenda le politiche ambientali, che invece possono essere (anche) l’occasione per rinnovare e rafforzare il nostro sistema produttivo: è arrivato al punto di introdurre, unico caso nel mondo libero, una misura oscurantista come il divieto di ricerca sulla carne coltivata, pur di compiacere, di nuovo, i propri elettori.
Insomma, l’attuale governo danneggia gravemente l’interesse nazionale, per incapacità o più spesso per interessi elettorali di breve periodo. E questo proprio quando avremmo invece più bisogno di scelte lungimiranti e di una politica preparata.