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“Tra Democrazia e Rivoluzione” approfondisce e periodizza un momento chiave della storia italiana
di Gianni La Bella
Il volume di Luigi Giorgi – “Tra Democrazia e Rivoluzione. La Democrazia Cristiana e la politica italiana nei giorni del golpe cileno”, Milano, Guerini e Associati 2024, pp. 206, Euro 22,50 – impreziosito dalla introduzione di Agostino Giovagnoli, getta nuova luce sui riflessi che il golpe cileno, avvenuto l’11 settembre 1973, ai danni del presidente democraticamente eletto, Salvador Allende, ha avuto sulle future vicende politiche italiane, offrendo elementi nuovi che permettono di leggere in modo più complesso le dinamiche di quegli anni, decifrandone aspetti, dati troppo spesso per acclarati, rispetto ai quali per molti non c’era più nulla da aggiungere. Un episodio più di altri testimonia il particolare legame che si instaurò, all’indomani del colpo di stato, tra Italia e Cile. Negli anni successivi al golpe, furono approvati dai Consigli comunali italiani, più di cinquemila ordini del giorno di solidarietà e vicinanza alla causa cilena. Un esempio di mobilitazione internazionale che permise a migliaia di esuli di trovare nell’Italia la loro seconda patria.
La Dc, i partiti e la stampa di fronte al golpe
L’obiettivo prioritario, che si è proposto l’autore, è stato quello di ricostruire l’ampio confronto all’interno dei gruppi parlamentari democristiani, e il successivo dibattito alla Camera dei Deputati, che si ebbe all’indomani della destituzione del presidente cileno, corredato dalle posizioni della stampa e dalle dichiarazioni degli altri partiti politici. Un panorama che offre uno spaccato delle diverse posizioni assunte dai vari leader democristiani, ma allo stesso tempo il filo rosso che li lega l’uno all’altro, nel tentativo di delineare, pur nel rispetto delle diverse interpretazioni, una posizione unanimemente condivisa. Dal dibattito emerge la corale condanna del golpe, da parte di tutte le componenti del partito, dalla destra di Mario Scelba e Oscar Luigi Scalfaro, alla sinistra di Luigi Granelli e Giovanni Galloni, e, allo stesso tempo, la preoccupazione di tutta la Dc, di non abbandonare l’omologo partito cileno, al suo destino, di cui i democristiani italiani si sentivano responsabili, consci del loro ruolo di “partito guida”, nonostante alcuni esponenti, capeggiati da Eduardo Frei, avessero di fatto avallato il golpe.
Il Cile è indubbiamente il paese “più europeo” dell’America Latina, non solo per la composizione etnica della sua popolazione, con una componente indigena modesta, ma anche per un sistema politico-istituzionale che si avvicina molto a quello del vecchio continente. I democristiani cileni, da Eduardo Frei Montalva a Rodomiro Tomic, considerano i loro omologhi italiani, come “i fratelli maggiori” a cui guardare e fare riferimento. Ciò spiega come la vicenda cilena tocchi nel profondo la Democrazia Cristiana Italiana, nonostante il paese andino sia dall’altro lato del pianeta.
Giorgi si sofferma, inoltre, sulle varie letture che le diverse anime del Partito Comunista, rappresentate da Agostino Novella, Giancarlo Pajetta, Aniello Coppola, danno del golpe e delle responsabilità del Partido Democráta Cristiano de Cile (Pdc), e della sua “complicità servile con il fascismo”, ma anche di quella italiana, accusata di un atteggiamento “impacciato, furbesco e reticente”. Ma all’interno del partito, non tutti condividono questa chiave di lettura. L’autore mette nel giusto risalto l’intervento di Agostino Novella sottolineando che non è difficile scorgere nelle sue argomentazioni i “prodromi di quella che sarebbe stata l’idea del cosiddetto ‘compromesso storico’, dell’avvicinamento, cioè, nell’ottica di un ipotetico coinvolgimento comunista, nell’area di governo”. Nelle argomentazioni dell’esponente comunista, è evidente il timore che gli accadimenti cileni potessero essere strumentalmente utilizzati per screditare il ruolo della Dc, come forza democratica, il cui contributo era stato determinante, nella stesura della Costituzione e nella costruzione della democrazia in Italia. Una parte importante del saggio si concentra nella “gestazione” del discorso del sofferto intervento di Aldo Moro, a quel tempo Ministro degli Affari Esteri, che sarà oggetto di ben quattro stesure, in cui il leader democristiano assemblerà considerazioni “di suo pugno”, con i suggerimenti, rimessigli dagli uffici diplomatici del Ministero.
L’intervento di Aldo Moro alla Camera dei Deputati
Moro, dopo aver manifestato, il suo sentito cordoglio per la tragica morte del presidente cileno, rivendica la tempestività da parte del governo italiano, nella condanna del golpe, dissociandosi dall’inammissibile ricorso alla violenza, come strumento di lotta politica, sottolineando, allo stesso tempo, il ruolo morale e politico della Dc, in forza del suo impegno antifascista e per la libertà. Un tema, quello del fascismo, com’è noto nell’Italia di allora, al centro del dibattito politico. Una fase storica in cui si iniziava a parlare di trame nere e si era da poco consumato il tragico attentato di piazza Fontana, a Milano. Le parole di Moro sembrano anticipare, e in un certo senso, respingere, la formulazione di quella convinzione che di lì a poco diverrà dominante, nell’opinione pubblica italiana, per cui l’intera classe politica democristiana verrà considerata responsabile di decenni di malgoverno, in nome delle sue collusioni con gli interessi del partito del conservatorismo e della reazione. Ma il passaggio più importante del dibattito sugli eventi cileni, sono le considerazioni di Moro sul valore della democrazia. “Nostro compito in questa epoca, affermava, è trovare nella democrazia un’alternativa alla rivoluzione e far sì che la democrazia non sia un alibi per la stagnazione sociale. Questo è vero dovunque e lo è in particolare in America Latina”. Il Ministro degli Esteri coglie come l’evento cileno, al di là della tragicità dell’accaduto, rappresenti un ammonimento senza precedenti per la società italiana, interpretando le vicende del paese andino, come scrive Giovagnoli nella sua introduzione, “emblematico dell’esito catastrofico cui poteva portare la contrapposizione tra ‘istanze sociali’ ed ‘evoluzione politica’”. Nelle parole del leader democristiano c’è un esplicito ammonimento al Partito Comunista a sciogliere le sue storiche ambiguità, abbracciando una volta per tutte una “alternativa democratica”, piuttosto che continuare a perseguire una “alternativa di sinistra”.
Il dissenso sovietico e il golpe cileno
Giorgi dedica il terzo capitolo del suo libro, come scrive, ad una “digressione rispetto all’argomento del saggio, ma comunque ad esso collegata”, ed è il dibattito che si tiene il giorno dopo nell’Aula di Montecitorio, rispetto alle interrogazioni relative al dissenso in Urss e alla sua repressione, in vista della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione Europea. Una vicenda che mostra, potremmo dire, i riflessi di lungo periodo, che quanto accaduto in Cile avrà rispetto alla futura evoluzione della situazione politica italiana. L’autore si sofferma, in particolare, sugli interventi dei due principali protagonisti di quel dibattito, Gerardo Bianco per la Democrazia Cristiana e Giorgio Napolitano per il Partito Comunista, evidenziando come entrambi rinuncino all’esercizio di qualsiasi vis polemica, evitando di utilizzare strumentalmente le rispettive narrazioni interpretative di quanto accaduto in Cile e in Urss, per mettere in difficoltà l’avversario, convinti entrambi dell’importanza di non lasciarsi sedurre, attraverso un reciproco ammonimento, da “tentazioni autoritarie” o da “sirene rivoluzionarie”. Nelle due formazioni politiche è forte la preoccupazione e il timore che quanto accaduto nel paese andino possa verificarsi anche nella penisola italiana. Un volume, quello di Giorgi, particolarmente prezioso perché sulla base di una ricostruzione rigorosa e puntuale, permette di guardare alla storia della società italiana dei primi anni Settanta, attraversata da profonde turbolenze, ma allo stesso tempo da indubbia vitalità, da un angolo visuale, sotto molti aspetti inesplorato, quello dell’impegno della Democrazia Cristiana nell’ampliamento e rafforzamento delle basi della democrazia, attraverso la difesa del valore dell’antifascismo. Una conferma ulteriore, di come sia sempre errato pensare che il passato, solo perché è già stato, sia compiuto e immutabile, poiché ogni volta che ci voltiamo a guardarlo, sulla base del nostro presente, ci appare, in realtà, con colori diversi e a volte più cangianti.