Lavoro, molestie e ricatti sessuali.
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Molestie sul lavoro: un aspetto della violenza maschile contro le donne
Secondo il recente Rapporto Istat sui dati 2022-2023, sono 2, 322 milioni le persone che in Italia hanno subito una qualche forma di molestie sul lavoro, di cui l’81,6% di sesso femminile, pari a 1,9 milioni di donne. Questi dati restituiscono meglio di molte parole le dimensioni di un fenomeno grave e strutturale. Il 13,5% delle ragazze e delle donne tra i 15 e i 70 anni, cioè appunto quasi 2 milioni di donne, ha subito nel nostro Paese “comportamenti indesiderati, verbali, non verbali o fisici di natura sessuale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona, creando un ambiente intimidatorio, degradante, umiliante o offensivo”, secondo la definizione di questo reato dato dalla direttiva 2006/54/CE. Tra le più giovani la percentuale sale addirittura al 21,2%.
Tra queste condotte, di particolare rilevanza sono i ricatti sessuali, ovvero la richiesta di prestazioni sessuali per non subire ripercussioni negative, come il licenziamento, o per fare carriera, che descrivono bene il clima di soggezione e di sperequazione di potere rispetto agli uomini che le donne vivono molto di frequente, in un mondo del lavoro che le vede ancora subire, oltre che disoccupazione e inoccupazione, anche gap di retribuzione a parità di mansioni, part time involontario, scarsa progressione di carriera. In questo quadro, risulta evidente come anche le molestie e i ricatti sessuali si configurino come uno degli aspetti della violenza maschile contro le donne, espressione della cultura patriarcale che ancora segna la nostra società. Ed è per questo che, se occorre prevedere il reato di molestie sessuali, è necessario anche intervenire per promuovere nel mondo del lavoro la cultura della parità e del rispetto della differenza di genere.
In mancanza del reato è impossibile garantire giustizia alle donne
Nel nostro ordinamento gli atti sessuali compiuti sul luogo di lavoro o nell’ambito di un rapporto professionale senza il consenso della vittima non hanno una disciplina specifica. E’ molto difficile quindi, allo stato dell’arte, perseguire e sanzionare le molestie sessuali, che rientrano nel reato di violenza sessuale soltanto se si riscontra un “abuso di autorità”, nozione variamente interpretata nella giurisprudenza, ma che indica in sostanza una qualsiasi forma di “supremazia” del carnefice sulla vittima. Le molestie non caratterizzate da violenza, minacce o abuso di autorità, anche se costituiscono una grave violazione della sfera della libertà sessuale e della dignità personale, sfuggono alla sanzione penale della violenza sessuale di cui all’art. 609-bis del codice penale e possono essere attualmente perseguite soltanto in maniera molto blanda. E’ anche per questo che, come documenta l’Istat, l’87,7% delle vittime di molestie e ricatti sessuali non denuncia le aggressioni, il 69,7% non sa neanche a chi rivolgersi, mentre soltanto il 2,3% si reca in modo corretto dalle forze dell’ordine.
E’ da sottolineare come questo aspetto del “silenzio”, spia della solitudine delle donne, si riscontri anche nella violenza maschile che sfocia nel femminicidio. Nell’indagine sulla risposta giudiziaria ai femminicidi in Italia, realizzata sui procedimenti processuali del biennio 2017-2018, la Commissione di inchiesta del Senato sul femminicidio e la violenza di genere ha rilevato nel 2020 come il 63% delle donne divenute poi vittime di femminicidio non avesse raccontato le violenze subite neanche ad un’amica, mentre soltanto il 15% avesse sporto denuncia. Sono dati che confermano la natura culturale di una violenza maschile in qualche modo “iscritta” nella struttura sociale, che investe anche il mondo del lavoro.
L’istituzione del reato di molestie sessuali con le aggravanti dei luoghi di lavoro e studio risponderebbe anche al dettato della Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne, la quale all’articolo 40 dispone “l’adozione di misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che qualsiasi forma di comportamento indesiderato, verbale, non verbale o fisico, di natura sessuale, con lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona, segnatamente quando tale comportamento crea un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo, sia sottoposto a sanzioni penali o ad altre sanzioni legali”.
Il ddl che istituisce il reato e punta sulla prevenzione
Per colmare la lacuna legislativa di cui abbiamo parlato, come Pd abbiamo presentato un disegno di legge a mia prima firma sottoscritto da tanti colleghi, dal titolo “Disposizioni volte al contrasto delle molestie sessuali e delle molestie sessuali sui luoghi di lavoro. Deleghe al governo in materia di riordino dei comitati di parità e pari dignità e per il contrasto delle molestie sul lavoro” (A.S. 89). In 5 articoli, il ddl si propone di introdurre nel Codice penale l’articolo 609-ter.1 in materia di molestie sessuali, disponendo che “chiunque, con minacce, atti o comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, in forma verbale o gestuale, reca a taluno molestie o disturbo violando la dignità della persona è punito con la pena della reclusione da 2 a 4 anni”. Si prevedono inoltre quali aggravanti, con l’aumento della pena fino alla metà, l’aver commesso il reato nei luoghi o nell’ambito di un rapporto di lavoro, di tirocinio o di apprendistato, di reclutamento o selezione o nell’ambito di un rapporto di educazione, istruzione e formazione. In questo modo, sia nel mondo del lavoro che in tutti i contesti formativi dove sono frequenti relazioni interpersonali segnate dall’asimmetria di potere tra uomini e donne, tipico brodo di coltura delle molestie, vengono riconosciuti e stigmatizzati comportamenti spesso ritenuti “normali”. Il delitto in questione, così come altre fattispecie di reato contro le donne, è punibile a querela della persona offesa, da proporre entro 12 mesi dai fatti e in modo irrevocabile, per evitare che la lavoratrice possa essere ricattata e quindi indotta a ritrattare.
Il nostro disegno di legge, come ho detto, non si ferma a istituire una fattispecie penale, ma detta e indica interventi anche in campo culturale e in materia di prevenzione. Per questo si prevede che, per prevenire e contrastare le molestie, le pubbliche amministrazioni si avvalgano dei già istituiti Comitati unici di garanzia per le pari opportunità e che si dotino di appositi codici etici o codici di condotta. A tutela della lavoratrice che denuncia molestie, l’Ispettorato nazionale del lavoro si dovrà attivare immediatamente il monitoraggio sul rapporto di lavoro in questione. Il ministro del Lavoro e delle politiche sociali dovrà inoltre promuovere campagne di comunicazione per informare e sensibilizzare sul fenomeno delle molestie sessuali e sugli strumenti di tutela esistenti in caso di denuncia.
Il nostro testo contiene inoltre la proposta di rafforzare i Comitati pari opportunità, creando un organismo nazionale di controllo sulle molestie sul posto di lavoro, con compiti di monitoraggio e di adozione di azioni di prevenzione e formazione. Il disegno di legge contiene poi una delega al governo per incentivare la diffusione, nell’organizzazione aziendale, di gruppi di lavoro a prevalente composizione femminile col compito di monitorare la correttezza dei comportamenti aziendali e di prevenire il verificarsi di molestie o violenze sui luoghi di lavoro. Previste anche l’introduzione di misure premiali, anche fiscali, per le imprese virtuose che adottano questi modelli e l’istituzione di un sistema centralizzato di controllo sugli effettivi risultati conseguiti in termini di parità di genere, di pari opportunità e di contrasto delle molestie e delle violenze sui luoghi di lavoro.
L’iter legislativo e la proposta al centrodestra
Il disegno di legge del Pd è Stato incardinato dalle Commissioni Giustizia e Affari sociali, lavoro e sanità del Senato. Più volte abbiamo proposto al centrodestra di calendarizzarne l’esame, per arrivare ad approvare una norma in grado di sanzionare le molestie sessuali, specie nei luoghi di lavoro e di studio, e quindi di difendere le donne. Confidiamo che al più presto si apra uno spazio. Il patrimonio legislativo in materia di contrasto alla violenza contro le donne è in Italia, come è noto, quasi completo. Le norme ci sono, occorre attuarle e farle rispettare. Tra le poche manca, oltre alla legge sul consenso in materia di violenza sessuale, proprio quella per istituire il reato di molestie. L’auspicio è che maggioranza e opposizioni possano al più presto confrontarsi in Parlamento per consentire al Paese questo ulteriore e prezioso passo in avanti.