
A cura di Giuseppe Famà: Difesa comune, il salto di qualità che serve all’Europa.
25 Marzo 2025Nicoletta Pirozzi *
Testo della relazione introduttiva al seminario della Fondazione Demo intitolato “Difendere la pace. Un nuovo modello europeo di politica estera, di difesa e di sicurezza” che si è svolto lo scorso 14 febbraio 2025
Non posso non cominciare il mio intervento da quello che sta succedendo dall’altra parte dell’Oceano e soprattutto dalle recenti dichiarazioni e azioni da parte del nuovo presidente americano Trump, le sue iniziative con il presidente russo Putin e le dichiarazioni di Vance alla conferenza di Monaco.
Mettendo insieme gli elementi di queste dichiarazioni e azioni, dobbiamo partire da una certezza per l’Europa: siamo sempre più soli e da oggi in poi la nostra sicurezza è interamente nelle nostre mani. Questo ovviamente è un cambiamento epocale, per quanto riguarda le dinamiche internazionali e per quanto riguarda in particolare la sicurezza del continente, soprattutto perché arriva in un’era di multipolarismo e di riemersione dell’imperialismo, che sono tutti elementi che remano contro la natura del progetto europeo che abbiamo costruito. È rimasto forse l’articolo 5 della Nato, ma anche su quello non siamo più sicuri visto che l’Amministrazione americana ha anche messo in discussione il mantenimento delle truppe americane sul territorio europeo.
Ovviamente in questo momento ci sentiamo ancora più esposti perché siamo sotto attacco diretto anche da parte di un altro attore, cioè la Russia, che chiaramente è indebolita dalla guerra all’Ucraina, ma che sta cercando di ricostruire e di investire nelle capacità di difesa perdute. È uscita da poco un’informazione che ci rivela che nel 2025 la spesa militare russa aumenterà del 14%, arrivando al 7,5% del Pil e superando quella dell’intera Europa, Gran Bretagna inclusa. Questo è un altro elemento di grande minaccia che dobbiamo tenere in considerazione.
Da questo discendono una serie di conseguenze talmente complesse che sono difficili da prevedere al momento. Ma se dobbiamo partire da quello che è certo, dobbiamo prendere in considerazione due cose. La prima è che dobbiamo prepararci a dare adeguate garanzie di sicurezza all’Ucraina, questo vuol dire che qualsiasi scenario si delineerà dopo i negoziati tra il presidente Trump e il presidente Putin, se gli Stati Uniti non ci saranno più l’Ucraina sarà attaccata di nuovo e fagocitata dalla Russia, a meno che non la difendiamo noi. Quindi si manifesta nella sua massima urgenza la necessità per l’Unione Europea di prendere un impegno militare serio nei confronti dell’Ucraina. Questo significa ad esempio farsi carico del grosso degli aiuti militari, e probabilmente considerare l’invio di truppe in territorio ucraino. In ultima analisi, dovremo essere pronti a prendere degli impegni militari vincolanti nei confronti dell’Ucraina.
Il secondo punto su cui c’è poca possibilità di dibattito è che dobbiamo essere pronti a difendere i nostri cittadini e le nostre democrazie, perché gli Stati Uniti molto probabilmente non lo faranno più. Per farlo non possiamo crogiolarci nell’idea che le attuali risorse impegnate per la difesa possano bastare. Questo non significa portare avanti un dibattito, anche abbastanza sterile, sul 2% o 5% del Pil, perché questi numeri in realtà hanno poco senso. Bisogna in primo luogo capire quali sono gli obiettivi politici dell’aumento della spesa. La strada giusta è individuare le capacità necessarie a livello europeo per diventare un attore di difesa credibile e autonomo e definire quali risorse economiche servono per acquisire quelle capacità.
In generale io credo però che, per fare questo, serva una riflessione politico-strategica molto più ampia e molto approfondita da parte delle forze progressiste su cosa vogliamo veramente quando parliamo di difesa europea. Cosa intendiamo effettivamente quando parliamo di Unione della difesa – considerando che l’esercito europeo sarà realizzato solo quando noi riusciremo finalmente a costruire una federazione a tutti gli effetti e quindi inevitabilmente sarà un obiettivo di lunghissimo periodo? Quello che vogliamo è trasformare l’Unione Europea in un modello Nato in cui gli eserciti degli Stati membri dell’Unione Europea siano coordinati da un processo di pianificazione congiunta per garantire la difesa territoriale dell’Unione Europea o vogliamo che queste cose le faccia ancora la Nato? Preferiamo un modello ibrido in cui l’Unione Europea acquisisca essa stessa alcune capacità di difesa che poi possa utilizzare e mettere a disposizione degli Stati membri? Vogliamo che l’Unione Europea abbia delle capacità di comando e controllo? Vogliamo un modello più expeditionary? Tutte queste riflessioni vanno fatte in maniera urgente per proporre un nostro modello di difesa e capire ancora quanto dobbiamo spendere per realizzarlo.
Una seconda questione generale ma altrettanto importante ha a che fare con la governance dell’Unione Europea nel settore della difesa, perché noi abbiamo un’estrema necessità di creare un’architettura istituzionale coerente che possa gestire le iniziative di difesa. Attualmente esistono diversi processi di pianificazione, iniziative di politica industriale e responsabili delle decisioni negli Stati membri, nella NATO, nell’Agenzia Europea per la Difesa, nella Commissione. Dobbiamo individuare chi è responsabile per cosa e qual è la catena di comando. Più specificatamente, dobbiamo chiarire meglio quali sono gli equilibri tra la parte più intergovernativa, cioè quello che fanno gli Stati membri con l’Agenzia Europea per la Difesa, quello che fa la parte comunitaria, cioè la Commissione, che tra l’altro è sempre più attiva in questo ambito specifico, cosa fa il Servizio Europeo per l’Azione Esterna, che invece è un animale ibrido. Insomma, dobbiamo capire quali sono i rispettivi ruoli delle istituzioni all’interno di questa architettura.
Come ultimo punto vorrei anche sottolineare che, mentre la mancanza di capacità di difesa è sicuramente una debolezza strutturale per l’Unione Europea, che deve essere corretta con degli investimenti sostanziali, noi dobbiamo prestare attenzione a non replicare modelli che non ci appartengono (come il modello americano o il modello russo). L’Unione Europea ha sempre avuto un vantaggio specifico in termini di approccio olistico e inclusivo alla sicurezza, perché l’Unione Europea è anche un attore economico, politico, diplomatico. Non dobbiamo perdere queste caratteristiche complessive dell’Unione Europea. Ovviamente però va affrontato prima l’ambito in cui siamo più deboli e sicuramente la parte di difesa e quella più prettamente militare sono quelle che vanno rafforzate per prime. Però non dobbiamo rinnegare questo modello, anche concettualmente, ma confermarlo.
Per concludere, quindi, credo che una discussione di questo tipo non è più procrastinabile. Molto spesso c’è stata la tendenza a evitare discussioni precise e puntuali sulla difesa, che è stato considerato storicamente un tema politico scomodo o contrario ai valori della nostra famiglia politica. In realtà ci siamo resi conto che è un elemento fondamentale quanto l’istruzione, la salute e la giustizia. Dovremmo dedicare a questo una riflessione molto più approfondita, capire qual è la nostra prospettiva a livello nazionale e cosa proponiamo a livello europeo insieme alla famiglia europea progressista, cercando di superare le divisioni che ancora esistono. E dobbiamo farlo proprio per salvaguardare il modello europeo integrato che abbiamo strenuamente difeso nel corso della nostra storia politica.
* Presidente del Gruppo di esperti del PD sulla politica estera. Responsabile del Programma Unione Europea IAI