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Come parte dell’accordo tra le forze che hanno sostenuto la sua Presidenza, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen aveva promesso che avrebbe presentato una proposta per un Green Deal europeo entro i primi 100 giorni del suo mandato. Così ha fatto, nel giro di pochi mesi dal suo insediamento, nel dicembre 2019. Il Green Deal europeo è sostanzialmente un piano per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 attraverso una profonda modifica di tutti i settori dell’economia europea, sostenendo al contempo individui e categorie più vulnerabili in questo processo.
Rispetto alle politiche già in campo, il Green Deal si distingue per l’ambizione e per l’approccio trasversale. Già negli anni ‘90 l’Unione europea aveva iniziato a porre le basi per una propria politica sul clima che ha visto negli ultimi due decenni l’introduzione di importanti misure per la promozione delle rinnovabili e il miglioramento dell’efficienza energetica.
Il rinnovato slancio della Commissione von der Leyen, dopo un periodo di relativo declino dell’interesse per queste tematiche, si fonda sugli impegni presi dagli stati membri dell’UE con l’Accordo di Parigi, nell’ambito della COP21, che aveva posto le basi per l’inserimento di un obiettivo di decarbonizzazione giuridicamente vincolante: mantenere l’aumento della temperatura mondiale “ben al di sotto dei 2° C” in più rispetto ai livelli pre-industriali. Tuttavia, l’accordo specifica che idealmente bisognerebbe mirare a non superare gli 1.5° C, soglia oltre la quale, secondo le raccomandazioni del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’ONU (IPCC), alcuni degli effetti del riscaldamento globale potrebbero essere irreversibili. Se questo andamento di crescita della temperatura dovesse continuare ai ritmi attuali, si raggiungerebbe 1.5° C intorno al 2040.
Per limitare l’innalzamento della temperatura e per imporsi come modello virtuoso a livello globale, nel giugno 2021 l’Unione europea ha adottato, come parte del Green Deal, la Normativa europea sul clima, che ha reso vincolante a livello europeo il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 e ha fissato l’obiettivo di ridurre le emissioni per il 2030 al 55% rispetto ai livelli del 1990, contro il 40% previsto dalla legislazione precedente.
Per raggiungere questo ambizioso obiettivo, a luglio 2021, la Commissione ha adottato un pacchetto di proposte, il cosiddetto “Fit for 55”, per adeguare le politiche europee in materia di clima, energia, trasporti e fiscalità alla luce del nuovo target per il 2030. Le iniziative incluse nel “Fit for 55” comprendono misure per accelerare la transizione verso fonti di energia rinnovabili, incrementare l’efficienza energetica, migliorare ed estendere l’ambito di applicazione del sistema di scambio delle quote di emissione e decarbonizzare i settori dell’energia, dell’edilizia e dei trasporti. La maggior parte di queste proposte è stata approvata dal Parlamento e dal Consiglio dell’UE e sta gradualmente entrando in vigore.
Tuttavia, le azioni previste dal Green Deal non si limitano a riformare i settori a maggiore impatto sull’ambiente, ma implicano un più ampio e radicale ripensamento dell’economia europea. Accanto al “Fit for 55”, infatti, la Commissione ha presentato diverse proposte volte a sviluppare un approccio circolare per l’economia (Piano d’azione per l’economia circolare), a rendere più sostenibile il settore agricolo (ad esempio la Strategia “dal produttore al consumatore”, la Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030), e a ridurre l’inquinamento in Europa (Piano d’azione per l’inquinamento zero di aria, acqua e suolo) e l’uso di sostanze chimiche nocive (Strategia in materia di sostanze chimiche).
L’ambizioso programma della Commissione si è scontrato, tuttavia, con la realtà delle diverse crisi e trasformazioni nello scenario internazionale e nel panorama politico europeo. Di fronte al rischio che la transizione ecologica innescata dal Green Deal fosse messa in secondo piano, le risposte delle istituzioni europee hanno però mantenuto un ruolo centrale per le politiche climatiche. In risposta alla crisi energetica, ulteriormente aggravata dall’invasione russa dell’Ucraina, la Commissione ha proposto il piano RePowerEU, incrementando l’ambizione delle riforme in materia di rinnovabili ed efficienza energetica per mitigare gli effetti sul breve termine della crisi e, allo stesso tempo, ad accelerare la transizione energetica. Inoltre, sulla scorta di questi cambiamenti, la Commissione ha recentemente proposto un Piano industriale per il Green Deal, la risposta europea all’americano Inflation Reduction Act. L’obiettivo del Piano, infatti, è di rafforzare la competitività dell’industria europea a zero emissioni nette e sostenere la rapida transizione verso la neutralità climatica.
Su alcune di queste iniziative, tuttavia, è stato più difficile trovare un accordo. Ad esempio, molte delle proposte attese nell’ambito della Strategia dal produttore al consumatore non sono state adottate e, sull’onda delle proteste degli agricoltori, la Commissione ha fatto marcia indietro sull’applicazione di criteri di sostenibilità necessari per ricevere i fondi della Politica Agricola Comune (PAC).
Un altro punto critico è il finanziamento delle misure necessarie e delle azioni di supporto ai settori in fase di transizione. Iniziative come il Net Zero Industry Act, cardine del Piano industriale per il Green Deal, e la piattaforma per le tecnologie strategiche per l’Europa erano state pensate, in principio, come un primo passo verso l’istituzione di un vero e proprio Fondo sovrano europeo che potesse canalizzare risorse verso progetti di sostenibilità e resilienza climatica. Infatti, la Commissione Europea ha stimato che saranno necessari investimenti aggiuntivi di 620 miliardi di euro annui tra il 2023 e il 2030 per raggiungere gli obiettivi di transizione verde dell’UE, pari al 3,7% del PIL dell’UE del 2023.
Nel corso delle negoziazioni, tuttavia, elementi essenziali di queste iniziative sono stati accantonati, riducendone significativamente l’ambizione. Alcuni membri dello stesso Collegio dei Commissari, come il Commissario per l’economia Paolo Gentiloni e lo Spitzenkandidat dei socialisti Nicolas Schmit, hanno evidenziato come il compromesso legislativo raggiunto sia ancora insufficiente, ed hanno proposto l’istituzione di un nuovo meccanismo di finanziamento comune che prenda le mosse dal Next Generation EU, istituito durante la pandemia.
Contemporaneamente a questa difficoltà di concordare sugli strumenti per finanziare la transizione, si è fatto sentire anche il peso della crescente competizione a livello globale per le tecnologie pulite, così come di alcuni influenti settori dell’industria europea, che hanno siglato la dichiarazione di Anversa invitando l’Unione ad adottare un Industrial Deal. Di conseguenza, con l’avvicinarsi del periodo elettorale, la narrazione da parte della Commissione, si è gradualmente spostata verso la necessità di garantire la competitività dell’economia europea. Mentre è indubbia la necessità di sviluppare una strategia industriale europea di lungo periodo, il timore è che il rallentamento imposto dalla Presidente della Commissione possa portare in prospettiva ad accantonare il Green Deal o addirittura ad avallare istanze revisionistiche, come quelle che provengono dalla destra e dall’estrema destra europee.
Il prossimo mandato si focalizzerà sull’attuazione di quanto già adottato, ma questo potrebbe non bastare, stando all’analisi dell’Agenzia europea dell’ambiente. L’ultimo report pubblicato mostra dati incoraggianti per quanto riguarda la riduzione delle emissioni: nel 2022 mostrino che le emissioni totali di gas serra sono diminuite del 2,4% rispetto al 2021, mentre il PIL dell’UE è cresciuto del 3,5% nel 2022. Tuttavia, il ritmo di riduzione delle emissioni deve aumentare, fino a quasi triplicare la riduzione media annua ottenuta nell’ultimo decennio per raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030. Gran parte della legislazione del Green Deal sta entrando in vigore in questi mesi e dunque dovremmo aspettare ancora per analizzarne gli effetti, ma bisogna tenere conto di queste proiezioni nel decidere come proseguire, in particolar modo nel fissare i target per il 2040, uno dei compiti cruciali della prossima Commissione nell’ambito dell’azione per il clima.
Da ultimo, per quanto l’azione portata avanti dall’UE sia senza precedenti su scala globale, questi progressi avranno un impatto limitato senza uno sforzo globale per limitare le emissioni di gas serra entro la prima metà di questo secolo. Il più recente report dell’IPCC mostra che, tenendo conto delle attuali politiche di decarbonizzazione, l’aumento delle temperature supererà molto probabilmente il 1.5°C entro la fine del secolo, rendendo molto più difficile rimanere entro i limiti dei 2°C.