Così l’intelligenza artificiale rivoluziona le politiche attive del lavoro
23 Maggio 202430 maggio – Il passato e il presente
30 Maggio 2024di Vinicio Peluffo *
* l’autore è capogruppo del Partito democratico in commissione Attività Produttive della Camera
Quando parliamo della filiera dell’automotive dobbiamo avere uno sguardo ampio che abbraccia tutte le imprese coinvolte nella produzione di autoveicoli, a partire dalle imprese che producono materie prime e macchine utensili, passando per quelle più strettamente produttive, fino ad arrivare alle aziende che si occupano di imballaggi, trasporto merci e servizi legati agli autoveicoli, e quelle dei servizi automotive.
Parliamo di oltre cinquemila imprese, un milione e duecentomila addetti e un fatturato con un’incidenza percentuale sul PIL a due cifre.
Un settore strategico per l’economia nazionale a maggior ragione nel contesto della transizione ecologica, che deve rappresentare un’opportunità di rilancio del settore.
Una filiera che l’Osservatorio sulla componentistica automotive italiana e sui servizi per la mobilità, nel suo ultimo rapporto rileva nella sua forza e nella determinazione ad affrontare le sfide imposte dall’evoluzione del comparto che comportano sì rischi – di cui credo siamo tutti avvertiti – ma anche opportunità, come rilevato dall’indagine dell’Osservatorio TEA sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano.
Possiamo guardare con fiducia alla capacità del comparto di affrontare le sfide della trasformazione in corso ma il compito imprescindibile del decisore politico, a tutti i livelli, è di accompagnarla con strumenti adeguati, una visione chiara e scelte concrete di politica industriale.
Il lavoro è tanto perché il parco dei veicoli circolanti nel nostro Paese è fra i più vecchi ed inquinanti d’Europa ed è urgente aumentare l’infrastruttura per la mobilità sostenibile, basta pensare alla media di colonnine di ricarica elettrica ogni 100 km in Italia così è lontana dalla media europea e lontanissima da Paesi come la Germania e la Francia.
Questo governo ha ereditato dal precedente governo, e dal lavoro fatto dal Parlamento nella scorsa legislatura risorse significative: ci sono quelle del PNRR (800 milioni di euro per finanziare due linee di contratti di sviluppo e la dotazione del Fondo che finanzia progetti di batterie e progetti di sviluppo della filiera dell’idrogeno) e quelle stanziate col Fondo Automotive, originariamente quantificate in 8,7 miliardi.
Questo Governo come intende usarle in una politica industriale coerente e lungimirante?
Non si può sfuggire dalla realtà, le novità introdotte nel contesto normativo europeo, l’evoluzione tecnologica nella propulsione elettrica, delle batterie di ricarica e dei circuiti, e le nuove esigenze di mobilità dei cittadini impongono alle grandi aziende automobilistiche l’avvio immediato di un processo di ulteriore profonda trasformazione del loro assetto produttivo e della filiera di distribuzione.
Questa fase di trasformazione, se ben supportata, può rappresentare una opportunità di ritornare a crescere perché l’approssimarsi della scadenza del 2035 richiede, innanzitutto, certezza, stabilità e programmazione da parte del decisore politico.
L’Italia sta già pagando un prezzo molto alto per la presenza di un solo produttore che a suo tempo scelse di non scommettere sull’elettrico, almeno in Italia, arrivando in ritardo rispetto ad altri produttori.
Ritardo pagato anche in termini occupazionali e Stellantis – e arriviamo al convitato di pietra – non tiene in considerazione l’Italia come polo produttivo per i nuovi modelli elettrici.
Una politica industriale che non contrasta il ritardo e, anzi, in qualche modo lo incentiva rischia, nel corso dei prossimi anni, di aggravare la situazione, mentre è necessario finalizzare la trattativa con Stellantis per salvaguardare l’occupazione e mantenere la capacità produttiva degli impianti.
Invece, l’azione di Governo è apparsa, sin qui, confusa, contraddittoria e inefficace, oscillando tra una politica di incentivi piegata alle esigenze di Stellantis in ragione di un non ben definito impegno a riportare la produzione a un milione di autovetture da un lato e la “minaccia” di orientare gli stessi incentivi in favore di un secondo produttore dall’altro, senza peraltro specificare quali leve abbia realmente a disposizione l’esecutivo nella trattativa con la casa automobilistica o se esista effettivamente un interesse da parte di altri produttori.
In questo quadro il dato, a cui non si può sfuggire, è che nel 2023 sono state prodotte in Italia appena 450.000 autovetture a fronte di 1.580.000 immatricolazioni, le linee dello stabilimento di Mirafiori sono ferme, 2.260 dipendenti andranno in cassa integrazione, si ricorre agli ammortizzatori sociali per il diciassettesimo anno consecutivo, permane l’assenza di indicazioni certe sulla creazione della Gigafactory per le batterie.
Se l’andamento riscontrato nel 1° trimestre 2024 verrà confermato nei prossimi mesi e gli incentivi non invertono la tendenza, la produzione complessiva, con i veicoli commerciali, si attesterà poco sopra le 630 mila unità al di sotto delle 751 mila del 2023.
Non possiamo permetterci indecisioni e proclami confusi, bisogna insistere perché Stellantis mantenga in Italia non solo la produzione ma anche i settori della progettazione, condizionando le misure, finanziarie e regolatorie, in favore di Stellantis, all’assunzione e al rispetto da parte della società di precisi impegni in termini produttivi e occupazionali. Gli impegni dell’a.d. Carlos Tavares nell’ultimo incontro con i sindacati non hanno sciolto i dubbi e resta la necessità di un accordo complessivo sullo sviluppo del settore auto in sede istituzionale.
E’ necessario sviluppare strumenti di sostegno finalizzati a favorire l’acquisto di vetture a basse emissioni dal lato della domanda e a sviluppare la filiera dell’elettrico dal lato dell’offerta, attraendo grandi investimenti (dalla produzione dei veicoli a quella dei componenti) e nuovi produttori, e comunque vincolando l’erogazione di risorse pubbliche all’assunzione di precisi impegni da parte dei produttori esistenti e futuri.
L’obiettivo deve essere l’attrazione di investimenti stranieri e la realizzazione di un ecosistema della filiera per favorire l’Italia come sede di attività di lavorazione di semiconduttori e di produzione di batterie e del loro riuso e riciclo, al fine di rafforzare l’autonomia strategica nell’approvvigionamento e di garantire adeguati livelli di ricerca e sviluppo negli ambiti tecnologici, della microelettronica e dell’intelligenza artificiale.
In questo quadro diventa un obiettivo anche lo stabilimento sul territorio nazionale di un secondo produttore.
Il Governo finora si è attardato in una polemica continua con le decisioni europee, puntando a deroghe e dilazioni ma questa non è una politica industriale, non è neppure una strategia degna di un Paese manifatturiero ed avanzato come il nostro.
L’impegno a cui siamo tutti chiamati, a partire dal Governo è di essere all’altezza della situazione e di attivarsi nelle sedi istituzionali europee per sostenere e valorizzare il ruolo strategico della filiera dell’automotive, affinché l’intero settore sia adeguatamente supportato nei prossimi anni, con politiche, strumenti e risorse aggiuntive per la riconversione delle imprese e la riqualificazione dei lavoratori (sul modello del programma Sure).
A livello europeo e a livello nazionale dobbiamo accompagnare la transizione sostenendo il processo di trasformazione industriale e di innovazione del settore, a partire dalla digitalizzazione fino al cambio delle motorizzazioni e allo sviluppo delle nuove tecnologie, alle attività di ricerca e sviluppo, al trasferimento tecnologico e alla nascita di nuove imprese innovative.
Strumenti europei e nazionali per sostenere la filiera e i lavoratori dell’automotive nel superamento dell’attuale fase di transizione, sia sul fronte della produzione sia su quello della vendita di autoveicoli, a partire dagli incentivi all’acquisto, o al “leasing sociale”, di veicoli elettrici o a basse emissioni di anidride carbonica in ottica pluriennale, incentivi che vanno indirizzati alle fasce a reddito basso, e all’acquisizione di tecnologie e alla riconversione produttiva per favorire la produzione di modelli elettrici in Italia, prorogando almeno fino al 2035 il Fondo automotive e incrementandone le risorse disponibili a valere sui risparmi derivanti dalla riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi.
Serve in sintesi una politica industriale degna di questo nome per accompagnare i lavoratori, sostenendo la formazione e la riqualificazione professionale degli addetti nel settore dell’automotive per garantirne la continuità occupazionale o il ricollocamento professionale durante questa fase di transizione del settore ed evitare quanto più possibile il ricorso agli ammortizzatori sociali.
Fare gli interessi nazionali significa portare a casa risultati per tutelare la capacità competitiva del sistema-paese, non proroghe ma strumenti economici, finanziari e regolatori.