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7 Febbraio 2024di Raffo d’Alfonso Del Sordo
Sembra soltanto uno stereotipo, eppure la convinzione di andare via, per una ragazza o un ragazzo che nasce e cresce “al Sud”, nel Mezzogiorno, si è sempre più consolidata negli anni.
Il sogno di potersi affermare in quelle aree e dare luogo al “pieno sviluppo della persona umana”, come pure afferma perentorio l’articolo 3 della Costituzione, appare fantascienza.
Non a caso, dal 2002 al 2022, il Sud ha conosciuto una flessione di perdita della popolazione giovanile pari al -28%. Le motivazioni possono essere facilmente evidenziate: mancanza di opportunità lavorative, una domanda e un’offerta, quest’ultima quando presente, che sembrano non volersi mai incontrare; compressa ricchezza prodotta; diffusione irrefrenabile di emergenze deleterie, quali quella ambientale, in particolar modo legata ai rifiuti, e criminale, tramite l’avvento di nuove mafie e organizzazioni criminali.
Dinanzi ad uno scenario simile, sui piatti di una bilancia, è raro che il legame affettivo con la propria terra di nascita pesi di più della volontà, più propriamente necessità, di una fuga. Non tutti percepiscono l’onere morale di provare a cambiare le circostanze, né possono essere biasimati. Il sottoscritto, originario della Provincia di Foggia, non si permetterebbe di sindacare le affermazioni di coetanei, conterranei, che sognano posti migliori, augurandosi di tornare sempre meno “a casa”. Tuttavia, credo fermamente che i dati attuali, per quanto poco positivi, possano essere uno stimolo per cambiare, per creare una possibilità di scelta. Andar via? Sì, ma anche poter tornare.
Il 28,5% degli studenti meridionali si iscrive in atenei del Centro-Nord; il 39,8% emigra alla laurea. Di coloro che decidono di studiare nel Mezzogiorno, circa la metà intraprende una attività lavorativa sul posto. Va ricordato infatti che il nostro Paese si colloca al di sotto della media europea per i 18-25enni effettivamente residenti.
Interessante è capire in quali regioni italiane si sia concentrato maggiormente l’esodo giovanile. Troviamo, tra le più annoverate: la Calabria, la Puglia, Campania (329 mila giovani andati via in 10 anni), la Sicilia (365 mila giovani andati via in 7 anni). Complessivamente, nell’arco di 12 anni, dal 2011 al 2023, secondo il rapporto Svimez, oltre un milione di residenti, di cui appunto la percentuale più alta è quella dei giovani, ha lasciato il Mezzogiorno.
Chi per la ricerca di un lavoro: il tasso di disoccupazione medio nazionale è di 8,1%, al Sud è del 14,3%. Chi per una buona formazione: oltre le rilevanti carenze strutturali e organiche nei luoghi di istruzione , nelle regioni del Sud-Italia la popolazione risulta essere meno istruita.
Chi per una vita all’insegna della legalità e tranquillità: sono cresciuti gli episodi di mafie, che non restano soltanto trame di film o serie tv e si diffondono poi, a macchia d’olio, in tutta la Penisola e al di fuori dei confini (si pensi alla ‘ndrangheta).
Il dibattito politico moderno tiene conto di queste statistiche Istat? Mentre l’autonomia differenziata, voluta dal Governo, spacca il Paese e occupa palinsesti televisivi e aule legislative, il vuoto di quelle persone che abbandonano il Sud, chi lo occupa? Se si rompe ancor più l’unità nazionale, i divari tra le Regioni, come possono essere sanati?
Intanto cominciamo a considerare l’emergenza dell’esodo giovanile. Fu un deputato lombardo, nel 1873, Antonio Billia, ad utilizzare la locuzione “questione meridionale”. Oggi, nel 2024, quella questione c’è ancora. E anzi diventa dirompente con il progetto di autonomia differenziata, un progetto che vede avvolte nella nebbia le modalità di attuazione di quelle 23 (ventitre) materie da delegare a ciascuna Regione. Se le cose dovessero rimanere così il destino sarebbe segnato. Alla domanda “andare via?”, però, siamo ancora in tempo per rispondere con l’alternativa “poter tornare”. Diciamo che siamo ad un match point.