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11 Gennaio 2024– Autore: Filippo Sbrana –
L’autonomia differenziata è uno dei temi di maggior rilievo nella legislatura in corso. Proposta dal ministro Calderoli, rilancia in forme nuove la visione di lungo periodo della Lega. L’intento di questo contributo è di ricostruirne il retroterra storico, per meglio comprendere quale sfida rappresenti.
Occorre partire da un elemento di fondo: lo sviluppo del Mezzogiorno è un tema centrale nella storia italiana. Per limitarsi alla stagione repubblicana, per molto tempo non c’è governo né partito che non la consideri una questione cruciale. Una politica economica volta a sostenere lo sviluppo del Mezzogiorno appare decisiva all’intero paese e non solo a chi vi abita. Il cambiamento avviene nei venticinque anni che vanno dal 1970 al 1994, attraverso due snodi fondamentali (li ho ricostruiti nel volume Nord contro Sud. La grande frattura dell’Italia repubblicana, Carocci 2023).
Il primo è la crisi economica seguita allo shock petrolifero del 1973: l’aumento dei costi energetici mette fuori mercato buona parte delle industrie promosse dallo Stato al Sud, ma colpisce duramente anche le grandi aziende fordiste del Nord. In alcuni settori della società settentrionale si diffonde un giudizio negativo sull’azione pubblica nel Mezzogiorno che inizia a corrodere la visione condivisa di cui si è detto. Il secondo snodo è la nascita delle regioni a statuto ordinario, che iniziano la loro attività negli anni Settanta. La prospettiva iniziale è di un regionalismo solidale, ma in poco tempo le cose cambiano. Perché i nuovi organismi peggiorano la qualità dell’azione pubblica al Sud, fanno aumentare il divario e soprattutto favoriscono il diffondersi di una sensibilità regionalista, mentre cresce la sfiducia verso dello Stato per via degli scandali (P2 e altri).
Negli anni Ottanta s’indeboliscono le forze che portano avanti una progettualità sul Paese incentrata sul Mezzogiorno: i grandi partiti politici, i sindacati e anche la Chiesa cattolica. Nello stesso periodo le risorse per il Sud vengono utilizzate male (si pensi all’Irpinia) e finiscono per dare forza alle critiche leghiste. Sotto la spinta convergente di Umberto Bossi e di Silvio Berlusconi – uno attacca l’assistenzialismo verso il Sud, l’altro si propone al Paese come imprenditore settentrionale di successo – avviene negli anni Novanta una duplice cesura: la Prima Repubblica lascia il posto alla Seconda e la questione meridionale viene abbandonata a favore di quella settentrionale. Al centro dell’agenda politica c’è ora la crescita delle aree più avanzate del Nord (concetto ripreso nella relazione al ddl Calderoli), mentre i destini del Sud diventano un problema soprattutto di chi vi risiede. La proposta dell’autonomia differenziata si colloca in questo percorso, che va in direzione opposta al regionalismo solidale.
Dopo quasi trent’anni, bisogna chiedersi cosa abbiano prodotto le politiche ispirate dalla questione settentrionale. Ebbene, i risultati sono deludenti. Tutte le regioni italiane (incluse quelle del Nord) hanno avuto una performance economica inferiore della media europea. Mentre l’abbandono del Sud ha favorito la criminalità organizzata, che è cresciuta e si è diffusa nel resto del Paese. Anche per questo l’autonomia differenziata non convince.
Gli elementi negativi della proposta Calderoli sono anche altri, dall’assenza di verifiche sull’efficienza del nuovo assetto istituzionale – posta in rilievo dalla Banca d’Italia – alle conseguenze negative sull’unità del Paese e sulle regioni meno sviluppate. La sfida però non può limitarsi a respingere un progetto sbagliato. Bisogna ripartire dalla frattura che da molti anni segna l’Italia e lavorare per ritessere il legame fra Nord e Sud. C’è urgenza di costruire un “pensiero nazionale” che restituisca centralità al Mezzogiorno, anche nella prospettiva europea. Occorre ritrovare una visione comune sull’Italia, una nuova unità.
Filippo Sbrana
Università per Stranieri di Perugia